Schede

mercoledì 27 ottobre 2010

Piccoli giornalisti crescono


Scusate l'assenza ma ho avuto molto da fare. Che cosa direte voi? A ben guardare non molto o almeno così sembra.
In realtà la più grande scoperta fatta in queste due settimane è il ronzio costante e incessante che accompagna le giornate di un giornalista; quel continuo domandarsi e domandare, fare attenzione ai particolari, ai profumi, agli odori, ricercare il perchè dietro alle cose e il tornare a casa bestemmiando perchè ci si è scordati di fare la domanda giusta quando se ne aveva l'occasione.
In questo si potrebbero riassumere queste mie ultime due settimane: un primo scontro con quella vita che mi sono scelto e che al momento trovo faticosa, ma incredibilmente entusiasmante al tempo stesso.
Tutti i giornalisti lo dicono e lo hanno sempre detto, tutti hanno avuto crisi di stress, di panico, di vomito e quant'altro, ma quando vedi il tuo nome stampato in inchiostro su quella carta da culo su cui si stampano i giornali tutte le fatiche e i magoni svaniscono.
Quell'inchiostro nero è una droga che dà assuefazione e riempie l'ego.
Al momento qui per me di inchiostri non se ne parla. In compenso ho dovuto svolgere i primi due compiti seri dati dalla scuola che a quell'inchiostro si avvicinano molto: una new story e una review, cioè un articolo di cronaca e una recensione.
Non starò qui a fare il riassunto degli articoli scritti per evitare l'enfiazione dei testicoli di voi lettori, mi soffermo sul tema di quello dei due che mi è riuscito peggio, la new story.
Lo scorso week-end si è tenuto attorno a Russell Square un festival dalle ambizioni multiculturali dal nome Bloomsbury Festival; in sostanza si alternavano in un area molto vasta (da Holborn a King's Cross) vari spettacoli teatrali, concerti, mostre fotografiche, punti ristoro con artisti locali e provenienti da tutte le parti del mondo.
Camminando per Russell Square, centro attorno a cui ruotava la manifestazione, si veniva colpiti dalla varietà di colori e odori provenienti dai vari stand gastronomici, ognuno con specialità culinarie di diversi paesi, dall'immancabile kebab, alla paella spagnola, a strani piatti thai.
Girato l'angolo più mangereccio della piazza c'era un grande palco dove per tutta la giornata di sabato si sono esibiti gruppi locali e non, specializzati in musiche tradizionali di varie zone del mondo (personalmente mi sono beccato un concerto Uyghur del centro Asia, molto affascinante).
Oltre il palco si potevano vedere le zone dedicate ai bambini, dove però si parlava solo di microbi e prevenzione delle malattie (sempre detto che gli inglesi sono zozzi!), un paio di punti di informazione e il bar chiamato “Festival Bar” cosa che suscitava in me immensa ilarità e sconcerto sul viso di una mia amica spagnola quando cominciavo a cantare “noi volemo andà al festivalbar, perchè c'è il bar, perchè c'è il bar!”.
Canzoni dei Kurnalcool a parte c'era qualcosa che non mi tornava nell'atmosfera del parco. L'organizzazione era impeccabile, decine di luci, decorazioni, sculture in giro, stand bianchissimi e pulitissimi, oltre mille (mille!) volontari che con le loro belle magliette lavoravano al festival come piccole formichine efficienti e diligentissime (una ragazza alla quale avevo fatto alcune domande per l'articolo non la finiva più di ringraziarmi per i quesiti posti), ma...dov'è l'intento di tutto ciò?
Far vedere a Londra, una delle città più multiculturali del mondo, che esistono altre etnie? Penso che questo lo sappiano di già. Cercare di far conoscere meglio tradizioni lontane? Forse, ma magari una festa che in tutto e per tutto è costruita come una sagra non è il modo migliore di diffondere questa conoscenza.
Il vero problema, la cosa che non mi tornava, era la vuotezza della manifestazione in sé. Un bellissimo involucro, che dubito possa essere riproposto in Italia, senza contenuto.
Mi è venuto spontaneo pensare alla “Festa della Castagna” che se non erro dovrebbe svolgersi in questi giorni a Chiaravalle, organizzata da quei vecchi bastardi della pro-loco (ops... ho detto bastardi? Potevo fare molto di peggio) in cui la più grande attrazione sono appunto le castagne cotte in quei calderoni cancerogeni, dove tutto è ben oltre gli standard minimi di igiene consentiti, dove la gente si riscalda con un po' di vin brulè, dove si fanno quattro chiacchiere tra amici per il corso senza mai entrare in discorsi troppo filosofici o almeno dipende da quanti bicchieri di vino si sono bevuti prima.
È culturale questo? Paradossalmente sì e per capirlo mi ci è voluta Londra. Una cosa semplice e oltremodo ripetitiva come la festa della castagna è il riflesso della società che la produce e quindi anche della sua cultura, la musica uyghur, per quanto stimolante di riflessioni, non è la cultura inglese. Lo diventa se vogliamo forzare la mano sul discorso delle varie etnie presenti nella città ma rimane il fatto che quello proposto era uno scrigno intarsiato d'oro e diamanti senza nessun tesoro al suo interno non perchè gli inglesi non ne possiedano uno (qui si parlava di welfare state e sistema previdenziale quando da noi ancora c'era il feudalesimo...a ben vedere non è che oggi entrambe le cose siano troppo migliorate in Italia) ma perchè all'insegna di un inesplicabile buonismo che sfocia nella pietà del “volemose bene” hanno deciso di rinunciarvi mostrando solamente il lato più ecumenico della loro cultura, facendo addirittura dimenticare ai presenti di averne una.

Francesco

mercoledì 13 ottobre 2010

Londra violenta


Londra ha fatto un altra vittima. No tranquilli non è morto nessuno, solo che Tom ha gettato la spugna e dopo un mese passato qui a cercare lavoro (beh a cazzeggiare più che altro, ma ogni tanto il lavoro lo cercava) è ritornato a casa con le pive nel sacco. Lui voleva Londra, Londra non l'ha voluto.
Sia chiaro, non è un dramma, il ragazzo ha 18 anni e avrà migliaia di occasioni per rifarsi.
Il punto è: chissà quanti prima di lui ci sono passati? Quante persone saranno arrivate in questa città e poi costretti ad andarsene perchè, almeno in apparenza, non c'era posto per loro? Mi viene in mente la storia di una ragazza australiana che è scappata da qui perchè portata alla disperazione dall'ambiente londinese. Per sua fortuna (o sfortuna) aveva deciso di cambiare aria e trasferirsi a Milano (pessima scelta secondo chi scrive) e su quell'aereo incontrò un ragazzo fiorentino di mia conoscenza che, per puro caso, invece di tornare a Firenze doveva atterrare a Milano. La ragazza si innamorò di lui, entrambi fecero presto ritorno a Londra e lei visse l'atmosfera albionica in maniera totalmente differente.
Casualità direbbe qualcuno, destino direbbe qualcun altro, un bell'esempio di seconde chance secondo me.
Tornando al sottoscritto ultimamente i miei rapporti con la city sono un po' mutati, non so ancora se in meglio ma diciamo che mi sto abituando a certe cose, in fondo è tutta una questione di ritmo: basta andare a tempo e ti trovi a danzare tra le coincidenze della metropolitan line con la central, con la piccadilly o con la bakerloo e vedi che non sei il solo ballerino ma c'è tutta una coreografia che comprende tutte quelle “huddled masses” che popolano la città.
Certo se il ritmo si spezza ti fa un po' incazzare e questo accade puntualmente ogni giorno verso mezzanotte e mezza quando “il tubo” chiude e per tornare verso il proprio giaciglio si è costretti a prendere degli autobus, unico vantaggio dei quali è il poter starsene seduti sul piano superiore cosa che esercita sempre una certa attrazione, quasi infantile direi.
E credo converrete con me che impiegare 3 ore e 45 minuti per tornare a casa, come mi è successo lo scorso sabato, è una cosa che il ritmo te lo rompe e non solo quello!
Tanto per dare un idea ecco una lista dei luoghi raggiungibili con un orario uguale o minore partendo da Chiaravalle: Venezia, Padova, Ferrara, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Firenze, Arezzo, Grosseto, Perugia, Terni, Roma, L'Aquila, Pescara, forse Milano e forse Bari, ometto volutamente il Molise perchè, come si sa, non è che una leggenda metropolitana.
Ora 225 minuti per partire da Londra e arrivare a Londra a me sembrano un po' tantini.
Lamentele sul sistema dei trasporti a parte anche questo costituisce quella violenza che la grande città esercita su chi ci vive e che io ho sempre percepito sin da quando, nel 2008, venni in vacanza qui per qualche giorno e non appena salito su una claustrofobica e puzzolente metro mi vidi svenire per due volte davanti agli occhi un uomo di circa 60 anni vittima della frenesia di centinaia di “huddled masses” conficcate a forza in quel vagone.
“Piccole formiche che marciano, rosse e nere con le loro antenne che vibrano, fanno tutte la stessa cosa” così canta Dave Matthews in una canzone, ho sempre pensato che avesse ragione ora lo sento anche.
Magari se non riesco ancora ad apprezzare e ad amare questa città è un problema mio, ma c'è da dire che lei non si sforza nemmeno un po' di rendersi attraente!

Francesco

martedì 5 ottobre 2010

London School

Un passo indietro:
circa due mesi fa mi trovavo a compilare il modulo di preiscrizione alla London School of Journalism sul loro sito internet. Oltre a quello dovetti allegare il mio curriculum e un breve testo in cui spiegavo il perché di questa mi a scelta di studiare giornalismo.
La prima cosa che mi venne in mente fu senza dubbio il faccione sorridente e barbuto di Tiziano Terzani! Chi mi conosce sa quanto io sia un suo appassionato lettore e quanto mi rispecchi nelle teorie e nelle idee portate avanti da questo straordinario uomo che è stato testimone di tutti gli avvenimenti che più hanno scosso il mondo negli ultimi 50 anni (guerra del Vietnam, piazza Tien An Men e 11 settembre, solo per citarne alcuni).
Ho sempre pensato al mio rapporto con Terzani (o meglio con i suoi libri) non come una sorta di fanatismo (non mi vesto solo di bianco, non ho la barba lunga, non sono vegetariano e la lista potrebbe continuare per molto) ma come una fonte dalla quale attingere nei momenti giusti.
Quel momento in cui mi si chiedeva il perché di questa scelta era uno di quelli.
Così spedita la mia bella mail con gli allegati mi seggo sul divano di casa e mi rimetto a leggere “La fine è il mio inizio”, apro il libro dove avevo lasciato il segno, iniziava in quel momento un nuovo capitolo e, dopo essermi appena iscritto ad una scuola di giornalismo prestigiosa che costa (e costerà) alla mia famiglia parecchi sacrifici, cosa leggo alla prima riga? Terzani che dice che le scuole di giornalismo sono tutte inutili, che non è un mestiere che si possa insegnare e che in particolare lui ha sempre detestato l'ossessione che hanno i cronisti inglesi per l'obiettività!
Sono scoppiato in una grandissima risata e mi sono detto: “sull'obiettività ha sicuramente ragione, per il resto proviamo a dargliela una chance a 'sta scuola no?”.
Così arriviamo a ieri, 4 ottobre, a Londra c'era lo sciopero dei mezzi e di arrivare tardi al primo giorno non me ne andava proprio. Parto da Oxford Circus (dove ho passato un paio d'ore con il mio amico Tom in un negozio di chitarre provandole tutte fingendo di doverne comprare una!) alle 4:30 in direzione Maida Vale (dove ha sede la scuola), l'inizio delle lezioni era previsto per le 6:30. arrivo quindi con un certo anticipo e ne approfitto per leggermi un po' del materiale che la scuola fornisce tra libri e quaderni.
A lezione siamo in 10 di cui 3 italiani (io e due ragazzi sardi), un ragazzo e una ragazza inglesi, una russa, una slovacca, una australiana e una canadese. Un bel meltin' pot insomma.
Alle 6:30 in punto entra Andrew Knight, giornalista scozzese trapiantato a Londra da anni con un curriculum lungo da qui a laggiù (e immaginatevi “laggiù” come un posto molto lontano), alto circa 1,80m, magro, con pochi capelli neri attorno alla testa, una barba bianca molto curata e vividissimi occhi blu. Giacca, cravatta e aplomb inglese non ve li descrivo nemmeno, sono ovvi.
Comincia con un introduzione al corso di circa un ora, pausa caffè poi è il nostro turno di parlare.
Ad uno ad uno ci presentiamo dicendo professione, background e quant'altro; viene fuori di tutto! Dal consulente legale che vuole cambiar vita al giornalista professionista che voleva saperne di più sulla sua professione, dal pizzaiolo allo studente semplice che poi al momento sarei io.
È strano definirsi di nuovo “studente”, legalmente non lo sono più dal 29 aprile di quest'anno ma in realtà ho concluso le mie lezioni al giugno di un anno prima quindi stare lì su un banco di quelli con sedia incorporata a prendere appunti mi ha fatto uno strano effetto, o “weird” per usare una parola odiosa che qui sento pronunciare ogni 30 secondi dovunque.
Arrivato il mio turno mentre spiegavo il perchè mi trovassi lì in quel momento, il signor Knight mi ferma e mi chiede se potessi parlare un po' di quel giornalista di cui avevo scritto in maniera entusiasta nella mia lettera di due mesi fa.
“Quel” giornalista era Tiziano Terzani.
Rimango di stucco.
Non solo si era studiato la mia application form e si ricordava di me, ma, per un divertente intreccio del destino mi trovavo lì a parlare di uno che sicuramente in quella scuola non avrebbe messo piede! Bella coincidenza no?
Il resto della lezione non ha molta importanza, è presto per dire se Terzani avesse torto o ragione su queste scuole ma questa prima lezione mi ha tolto tutte le preoccupazioni che avevo alla vigilia e adesso non vedo l'ora di lavorare sodo per ottenere dei buoni risultati da questa esperienza.
A proposito: ho già degli “assignements” meglio conosciuti come “compiti per casa” da fare entro mercoledì quindi se non vi dispiace non rubo più tempo al lavoro e corro a scrivere, anche se prima era più importante scrivere questo post!
A presto gente

Francesco