Schede

venerdì 10 dicembre 2010

La nobiltà e la plebe


Per la seconda volta mi trovavo a scrivere un post su Londra che non vedrà la luce, non dico mai ma sicuramente non per il momento.

Ieri c'è stata la quarta manifestazione in un mese contro i tagli all'istruzione pubblica operati dal governo inglese e, pur non essendo la più partecipata delle quattro, è sicuramente stata la più incisiva. La prima fece notizia per l'assalto di pochi (tradotti come molti dai media) alla sede del partito dei conservatori. La seconda vide l'utilizzo per la prima volta del kettling -o contenimento- in cui, come ricorderete, anche io sono rimasto imprigionato, la terza è stata straordinaria per la sua pacificità e la ricompensa fu un altro kettling e 146 arresti di studenti che “non volevano lasciare Trafalgar Square”, come se fosse reato passeggiare per una piazza.

Quella di ieri però era cruciale: 40.000 persone che manifestano sotto la House of Parliament durante una votazione non si vedono tutti i giorni in Inghilterra, anzi non si erano mai viste.
L'ardore e lo spirito ribelle che per tanto tempo ha caratterizzato gli inglesi negli ultimi venti anni si sono atrofizzati sia per la mancanza di nemici -con i laburisti al potere i sindacati non se la sono mai sentita di dargli veramente contro- , sia perchè il cittadino inglese si è sempre più calato nella sua veste di borghese politically correct.
Il risultato è stato un ritorno al potere dei Tories, seppur di misura e in coalizione, ed il consequenziale aumento delle prese di posizione degli stessi in tema d'educazione.
Perché proprio l'educazione? Beh molto semplicemente è il tentativo di rendere l'università un qualcosa di elitario cosicché gli interessi di pochi non vengano scalfiti.
Il fatto è che questa volta non si sono proprio regolati: nemmeno Berlusconi in uno dei suoi sogni più perversi avrebbe mai pensato di tagliare tutto in una botta l'80% dei fondi per l'insegnamento, il 25% di quelli per la ricerca, di aumentare l'orario di lavoro degli insegnanti diminuendone il numero e i salari (e non parlo di baroni delle università, ma anche di scuole medie e superiori), di obbligare le scuole a ridurre dell'88% il personale tecnico amministrativo (dai bidelli alle segretarie) per andare in parità coi bilanci e di cancellare gli EMA (una specie di stipendio percepito dagli studenti meritevoli) e gran parte delle borse di studio!

Il taglio di Cameron è pazzo e scellerato e le azioni della polizia (che subirà anch'essa un taglio del 30%) peggio. Ieri 4 studenti sono usciti gravemente feriti dalla manifestazione (uno dei quali ha subito un immediato intervento al cervello una volta giunto in ospedale), decine sono i contusi per le cariche subite (due di cui una a cavallo) i quali una volta storditi sono stati lasciati in terra senza soccorsi per ore. Un ragazzo disabile di mia conoscenza è stato buttato giù due volte dalla sua sedia a rotelle ieri pomeriggio, preso in spalla da un poliziotto e portato via dietro le camionette. Il fratello più grande di questo ragazzo, che lo assisteva, preoccupato dalla situazione ha chiesto di poterlo vedere e raggiungere, in tutta risposta è stato picchiato.
Gli studenti imprigionati nel kettling sono stati liberati solo a notte inoltrata quando la metro era già chiusa e molte volte scorrendo tra le due file di poliziotti che li scortavano all'uscita sono stati malmenati.

Sulla supposta democrazia inglese ho già avuto modo di discutere e quindi non aggiungo altro a riguardo; una cosa però mi ha dato da pensare: l'assalto all'auto di Carlo e Camilla.
I due si recavano in Rolls Royce al London Palladium -un teatro in peino centro, tra Oxford Circus e Piccadilly Circus- per vedere un opera quando, invece di scegliere la strada più sicura, l'autista gira per Regent Street dove si trovavano dei manifestanti tenuti al di fuori di Parliament Square.
Giustamente sono stati fischiati e insultati dalla folla quando ad un certo punto, mentre un ragazzo si avvicinava all'auto quel mostro di Camilla apre il finestrino, il ragazzo con in mano una specie di bastone fa come per colpire l'auto, il bobby lì presente (unico peraltro a scortare l'auto regale contro le migliaia in azione fino a poco prima) non fa nulla per intervenire, l'auto accellera e se ne va come niente fosse.

Io sono appena andato a fare la spesa in un supermercato che sta ad una fermata di metro da casa mia. Esco dal “tubo” e mi prendo una copia gratuita dell'Evening Standard, fotona a tutta pagina di Camilla nell'auto e titolone “Camilla was hit”. Ora è chiara la deviazione dell'autista.

Francesco Mandolini

giovedì 25 novembre 2010

e questa la chiamano democrazia

il pezzo che avrei dovuto postare oggi sul blog non è questo.
era un pezzo riguardante i tagli all'università proposti da Cameronalle università pubbliche. Si parla di cifre assurde  come il 60% da tagliare all'insegnamento e il 25% alla ricerca.
Comprensibilmente gli studenti cominciano ad avere le palle girate per la cosa e nelle scorse settimane ho documentato il tutto facendo interviste ai loro rappresentanti e docenti.
Per concludere avrei voluto inserire una visione della manifestazione di ieri (24 novembre); ovviamente ho partecipato e questa è la situazione in cui mi sono ritrovato, ragion per cui ho preferito postare un video piuttosto che scriverne. Lo trovate al link qui sotto.

Francesco e Albione - e questa la chiamano democrazia

un abbraccio amigos
Francesco

venerdì 12 novembre 2010

Attentatori glorificati e fiori guerrafondai (parte 2)


A Londra da fine ottobre a Natale è tutta una ricorrenza.
Ogni settimana ce n'è una e subito dopo il ricordo a suon di botti e fuochi d'artificio fatti per il buon Guy Fawkes, tac!, ecco che ci si ritrova in mezzo a botti di tutt'altro genere.

Scordatevi i bei tempi di “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, qui a Londra se mettete dei fiori nei cannoni fate solamente un favore ricaricando l'arma di chi sta dietro a quel cannone.
Ancora confusi? Entro meglio nell'argomento: ogni 11 novembre nei paesi del Commonwealth si festeggia il “Memorial Day”.

La festività originariamente era nata per ricordare i soldati caduti nelle due guerre mondiali ma, col passare degli anni, si sono aggiunte tutte le guerre che stanno nel mezzo fino ad arrivare all'ultima, ancora in corso, in Iraq.
I fiori di cui parlo sono dei piccoli papaveri di plastica che la gente si appunta sulle giacche, sulle camicie, sui cappelli, ovunque insomma per onorare i caduti in queste guerre.

Premesso che, come credo anche molti di voi che state leggendo, ritengo che ogni guerra senza eccezione sia una cagata pazzesca e che ne esistano SOLO di sbagliate, ho cercato di mettere un attimo da parte questo pregiudizio e capire meglio cosa spinge questi voraci divoratori di fish n chips ad appuntarsi un “poppy” sulla giacchetta; le risposte sono state sconsolanti!
Nessuno ha mai pensato che, visti i tempi che corrono, viste le recenti rivelazioni sulle torture perpetrate dall'esercito inglese in Afghanistan e Iraq, viste le montagne di file secretati venuti allo scoperto grazie a wikileaks, visto che come dice il personaggio di J.D. su Scrubs leggendo Iraqi war for dummies “strano, ho letto solo 30 pagine e Bush dice che abbiamo vinto, ma il libro di pagine ne ha 600!”, la cosa potesse sembrare un tantinello pro-war.

Non solo, facendogli notare la cosa si indignavano (a cominciare dall'hobbit canadese che mi ritrovo in classe, santoiddio sei canadese cerca di non fare l'americana!) dicendo che non c'entra nulla essere pro o contro la guerra, è solo un simbolo in ricordo delle vittime e bla bla bla.

A parte il fatto che anche i simboli, purtroppo per il mio hobbit, hanno una connotazione di senso ben precisa in base all'epoca storica in cui si vive (ragion per cui non è un idea geniale tatuarsi una svastica dicendo che è un simbolo induista e rappresenta il sole che nasce dopo il nazismo e tutto quello che ne consegue), a nulla è valso il mio tentativo di fargli notare che nelle cassettine dove si prendevano questi fiori (e nei poster sparsi per tutta la città) c'è scritto che indossandoli (e offrendo denaro alla causa per averli) supporti la legione inglese in medio oriente!

Alla fine della fiera ieri alle 11:11 dell'11/11 migliaia di persone si sono ritrovate in Trafalgar Square, con i poppies appuntati sul petto, a fare non uno ma due minuti di silenzio.
Credo sinceramente che quel silenzio facesse eco al silenzio che si trova dentro le loro teste.
Il discorso è sempre lo stesso, tutti, in Inghilterra come in Italia, sono pronti a fare silenzio in onore di soldati che hanno voluto andare laggiù e che per farlo vengono ricoperti di soldi, mentre il silenzio che avvolge la morte di un muratore che lascia una famiglia senza possibilità di andare avanti, di un ragazzo picchiato a sangue e ucciso dai fascisti a Verona solo perchè aveva i capelli lunghi o di un immigrato ridotto peggio che in schiavitù nei campi di arance di Rosarno, a questo di silenzio nessuno si indigna.

La morale è, la prossima volta che regalate dei fiori state attenti, i tempi sono cambiati.

Francesco Mandolini

martedì 9 novembre 2010

Attentatori glorificati e fiori guerrafondai (parte 1)


Perché celebrare un attentatore ogni anno da 405 anni?
Questa è la domanda che mi sono posto principalmente la settimana scorsa quando nelle notti del 5 e 6 novembre, conosciute come Bonfire Nights, i cieli di Londra si sono riempiti dei colori dell'arcobaleno in memoria di Guy Fawkes.

Egli è un personaggio sconosciuto a molti italiani e non inglesi in generale. Fu riportato in auge alcuni anni fa grazie al film basato su una grafic-novel scritta e illustrata dal duo Alan Moore/David Lloyd. Il film in questione era V per Vendetta in cui un personaggio con la maschera di Guy Fawkes si aggirava in una Londra futuribile e distopica tentando di combattere il regime mediatico imposto al popolo.

Ma chi era costui in realtà? Il vero Guy Fawkes fu uno dei cinque congiurati che la notte del 5 novembre 1605 tentarono di far saltare in aria l'intero parlamento inglese con al suo interno, oltre ai deputati, il re Giacomo I, scozzese di nascita.
A parte il farmi comprendere che cazzo volesse dire la festa organizzata con il collettivo Rosso Mal Polo lo scorso anno a Novoli proprio in occasione del 5 novembre (con tanto di volantini rievocanti il film), l'intento di Fawkes, esecutore materiale dell'attentato colto in flagrante nei lugubri sotterranei dell' House of Parliament mentre stava per accendere le miccie ai barili pieni di polvere da sparo, era quello di punire coloro che stavano impedendo la libertà di culto ai cattolici e, segretamente ma nemmeno troppo, di voler cacciare via gli scozzesi dal trono d'Inghilterra.

Se avesse saputo che secoli più tardi sarebbe salita al trono l'attuale famiglia regnante, i Windsor tedeschi in tutto e per tutto (il vero nome della famiglia reale è Sachsen-Coburg und Gotha), probabilmente non si sarebbe preso il cruccio di farsi torturare per otto giorni prima di firmare una confessione scritta in cui ammetteva le sue colpe e finire impiccato, decapitato e scorticato sulla pubblica piazza (mi auguro in quest'ordine e non in quello inverso).

Ma torniamo all'inizio del discorso: perchè ricordarlo?
C'è da dire che bisogna aspettarsi di tutto da un paese che, per celebrare la sconfitta di Napoleone a Waterloo, gli erige delle statue a giro per l'Inghilterra, ma si sa che qui lo humor è del tutto particolare.

Che cosa rappresenta allora Guy Fawkes? Non certo la vena cattolica inglese (inesistente o quasi da secoli). Direi più che Guy Fawkes è l'emblema di una tendenza tutta inglese (giustissima secondo chi scrive) che fa sì che il popolo si ribelli quando le cose tendono al peggio, pensate che folli!
Lo hanno fatto i primi coloni americani liberandosi dal giogo della madrepatria paradossalmente per un gesto d'amore verso la stessa al grido di “no taxation without representation”, lo hanno fatto le operaie Ford della fabbrica di Dagenham negli anni '60 per ottenere una “equal pay” tra uomini e donne e quindi credo che il bel Guido (così si firmava) si adagi tranquillamente a capo di questi personaggi.

Venendo a questioni di casa nostra (e scusate il ragionamento spicciolo), credo che di personaggi à la Guy Fawkes ne avremmo tanto bisogno in Italia vista la pochezza di chi ci governa, i recenti insulti verso gli omosessuali, le vergogne di Terzigno, Acerra, Napoli, le acque al percolato, i soffitti all'amianto nelle scuole elementari, i tagli all'università e alla scuola pubblica, le fottutissime leggi ad personam, il papello, Fede, Mora e tutta la combriccola dei santi apostoli, il Vaticano e, a 65 anni dalla sconfitta della tirannide fascista, il tentativo di equiparare repubblichini e partigiani sul palcoscenico di San Remo facendo cantare sia “Bella Ciao” (unico vero inno italiano) e l'inno fascista “giovinezza” (la minuscola non è una svista, è voluta).

Nel mio piccolo posso dire che provo una innata simpatia per Guy Fawkes, ce lo avessi qui ora gli offrirei da bere!

Francesco

PS
vi chiederete “e i fiori guerrafondai?”.
Attendete due o tre giorni e verrete soddisfatti, questa è grossa!

mercoledì 27 ottobre 2010

Piccoli giornalisti crescono


Scusate l'assenza ma ho avuto molto da fare. Che cosa direte voi? A ben guardare non molto o almeno così sembra.
In realtà la più grande scoperta fatta in queste due settimane è il ronzio costante e incessante che accompagna le giornate di un giornalista; quel continuo domandarsi e domandare, fare attenzione ai particolari, ai profumi, agli odori, ricercare il perchè dietro alle cose e il tornare a casa bestemmiando perchè ci si è scordati di fare la domanda giusta quando se ne aveva l'occasione.
In questo si potrebbero riassumere queste mie ultime due settimane: un primo scontro con quella vita che mi sono scelto e che al momento trovo faticosa, ma incredibilmente entusiasmante al tempo stesso.
Tutti i giornalisti lo dicono e lo hanno sempre detto, tutti hanno avuto crisi di stress, di panico, di vomito e quant'altro, ma quando vedi il tuo nome stampato in inchiostro su quella carta da culo su cui si stampano i giornali tutte le fatiche e i magoni svaniscono.
Quell'inchiostro nero è una droga che dà assuefazione e riempie l'ego.
Al momento qui per me di inchiostri non se ne parla. In compenso ho dovuto svolgere i primi due compiti seri dati dalla scuola che a quell'inchiostro si avvicinano molto: una new story e una review, cioè un articolo di cronaca e una recensione.
Non starò qui a fare il riassunto degli articoli scritti per evitare l'enfiazione dei testicoli di voi lettori, mi soffermo sul tema di quello dei due che mi è riuscito peggio, la new story.
Lo scorso week-end si è tenuto attorno a Russell Square un festival dalle ambizioni multiculturali dal nome Bloomsbury Festival; in sostanza si alternavano in un area molto vasta (da Holborn a King's Cross) vari spettacoli teatrali, concerti, mostre fotografiche, punti ristoro con artisti locali e provenienti da tutte le parti del mondo.
Camminando per Russell Square, centro attorno a cui ruotava la manifestazione, si veniva colpiti dalla varietà di colori e odori provenienti dai vari stand gastronomici, ognuno con specialità culinarie di diversi paesi, dall'immancabile kebab, alla paella spagnola, a strani piatti thai.
Girato l'angolo più mangereccio della piazza c'era un grande palco dove per tutta la giornata di sabato si sono esibiti gruppi locali e non, specializzati in musiche tradizionali di varie zone del mondo (personalmente mi sono beccato un concerto Uyghur del centro Asia, molto affascinante).
Oltre il palco si potevano vedere le zone dedicate ai bambini, dove però si parlava solo di microbi e prevenzione delle malattie (sempre detto che gli inglesi sono zozzi!), un paio di punti di informazione e il bar chiamato “Festival Bar” cosa che suscitava in me immensa ilarità e sconcerto sul viso di una mia amica spagnola quando cominciavo a cantare “noi volemo andà al festivalbar, perchè c'è il bar, perchè c'è il bar!”.
Canzoni dei Kurnalcool a parte c'era qualcosa che non mi tornava nell'atmosfera del parco. L'organizzazione era impeccabile, decine di luci, decorazioni, sculture in giro, stand bianchissimi e pulitissimi, oltre mille (mille!) volontari che con le loro belle magliette lavoravano al festival come piccole formichine efficienti e diligentissime (una ragazza alla quale avevo fatto alcune domande per l'articolo non la finiva più di ringraziarmi per i quesiti posti), ma...dov'è l'intento di tutto ciò?
Far vedere a Londra, una delle città più multiculturali del mondo, che esistono altre etnie? Penso che questo lo sappiano di già. Cercare di far conoscere meglio tradizioni lontane? Forse, ma magari una festa che in tutto e per tutto è costruita come una sagra non è il modo migliore di diffondere questa conoscenza.
Il vero problema, la cosa che non mi tornava, era la vuotezza della manifestazione in sé. Un bellissimo involucro, che dubito possa essere riproposto in Italia, senza contenuto.
Mi è venuto spontaneo pensare alla “Festa della Castagna” che se non erro dovrebbe svolgersi in questi giorni a Chiaravalle, organizzata da quei vecchi bastardi della pro-loco (ops... ho detto bastardi? Potevo fare molto di peggio) in cui la più grande attrazione sono appunto le castagne cotte in quei calderoni cancerogeni, dove tutto è ben oltre gli standard minimi di igiene consentiti, dove la gente si riscalda con un po' di vin brulè, dove si fanno quattro chiacchiere tra amici per il corso senza mai entrare in discorsi troppo filosofici o almeno dipende da quanti bicchieri di vino si sono bevuti prima.
È culturale questo? Paradossalmente sì e per capirlo mi ci è voluta Londra. Una cosa semplice e oltremodo ripetitiva come la festa della castagna è il riflesso della società che la produce e quindi anche della sua cultura, la musica uyghur, per quanto stimolante di riflessioni, non è la cultura inglese. Lo diventa se vogliamo forzare la mano sul discorso delle varie etnie presenti nella città ma rimane il fatto che quello proposto era uno scrigno intarsiato d'oro e diamanti senza nessun tesoro al suo interno non perchè gli inglesi non ne possiedano uno (qui si parlava di welfare state e sistema previdenziale quando da noi ancora c'era il feudalesimo...a ben vedere non è che oggi entrambe le cose siano troppo migliorate in Italia) ma perchè all'insegna di un inesplicabile buonismo che sfocia nella pietà del “volemose bene” hanno deciso di rinunciarvi mostrando solamente il lato più ecumenico della loro cultura, facendo addirittura dimenticare ai presenti di averne una.

Francesco

mercoledì 13 ottobre 2010

Londra violenta


Londra ha fatto un altra vittima. No tranquilli non è morto nessuno, solo che Tom ha gettato la spugna e dopo un mese passato qui a cercare lavoro (beh a cazzeggiare più che altro, ma ogni tanto il lavoro lo cercava) è ritornato a casa con le pive nel sacco. Lui voleva Londra, Londra non l'ha voluto.
Sia chiaro, non è un dramma, il ragazzo ha 18 anni e avrà migliaia di occasioni per rifarsi.
Il punto è: chissà quanti prima di lui ci sono passati? Quante persone saranno arrivate in questa città e poi costretti ad andarsene perchè, almeno in apparenza, non c'era posto per loro? Mi viene in mente la storia di una ragazza australiana che è scappata da qui perchè portata alla disperazione dall'ambiente londinese. Per sua fortuna (o sfortuna) aveva deciso di cambiare aria e trasferirsi a Milano (pessima scelta secondo chi scrive) e su quell'aereo incontrò un ragazzo fiorentino di mia conoscenza che, per puro caso, invece di tornare a Firenze doveva atterrare a Milano. La ragazza si innamorò di lui, entrambi fecero presto ritorno a Londra e lei visse l'atmosfera albionica in maniera totalmente differente.
Casualità direbbe qualcuno, destino direbbe qualcun altro, un bell'esempio di seconde chance secondo me.
Tornando al sottoscritto ultimamente i miei rapporti con la city sono un po' mutati, non so ancora se in meglio ma diciamo che mi sto abituando a certe cose, in fondo è tutta una questione di ritmo: basta andare a tempo e ti trovi a danzare tra le coincidenze della metropolitan line con la central, con la piccadilly o con la bakerloo e vedi che non sei il solo ballerino ma c'è tutta una coreografia che comprende tutte quelle “huddled masses” che popolano la città.
Certo se il ritmo si spezza ti fa un po' incazzare e questo accade puntualmente ogni giorno verso mezzanotte e mezza quando “il tubo” chiude e per tornare verso il proprio giaciglio si è costretti a prendere degli autobus, unico vantaggio dei quali è il poter starsene seduti sul piano superiore cosa che esercita sempre una certa attrazione, quasi infantile direi.
E credo converrete con me che impiegare 3 ore e 45 minuti per tornare a casa, come mi è successo lo scorso sabato, è una cosa che il ritmo te lo rompe e non solo quello!
Tanto per dare un idea ecco una lista dei luoghi raggiungibili con un orario uguale o minore partendo da Chiaravalle: Venezia, Padova, Ferrara, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Firenze, Arezzo, Grosseto, Perugia, Terni, Roma, L'Aquila, Pescara, forse Milano e forse Bari, ometto volutamente il Molise perchè, come si sa, non è che una leggenda metropolitana.
Ora 225 minuti per partire da Londra e arrivare a Londra a me sembrano un po' tantini.
Lamentele sul sistema dei trasporti a parte anche questo costituisce quella violenza che la grande città esercita su chi ci vive e che io ho sempre percepito sin da quando, nel 2008, venni in vacanza qui per qualche giorno e non appena salito su una claustrofobica e puzzolente metro mi vidi svenire per due volte davanti agli occhi un uomo di circa 60 anni vittima della frenesia di centinaia di “huddled masses” conficcate a forza in quel vagone.
“Piccole formiche che marciano, rosse e nere con le loro antenne che vibrano, fanno tutte la stessa cosa” così canta Dave Matthews in una canzone, ho sempre pensato che avesse ragione ora lo sento anche.
Magari se non riesco ancora ad apprezzare e ad amare questa città è un problema mio, ma c'è da dire che lei non si sforza nemmeno un po' di rendersi attraente!

Francesco

martedì 5 ottobre 2010

London School

Un passo indietro:
circa due mesi fa mi trovavo a compilare il modulo di preiscrizione alla London School of Journalism sul loro sito internet. Oltre a quello dovetti allegare il mio curriculum e un breve testo in cui spiegavo il perché di questa mi a scelta di studiare giornalismo.
La prima cosa che mi venne in mente fu senza dubbio il faccione sorridente e barbuto di Tiziano Terzani! Chi mi conosce sa quanto io sia un suo appassionato lettore e quanto mi rispecchi nelle teorie e nelle idee portate avanti da questo straordinario uomo che è stato testimone di tutti gli avvenimenti che più hanno scosso il mondo negli ultimi 50 anni (guerra del Vietnam, piazza Tien An Men e 11 settembre, solo per citarne alcuni).
Ho sempre pensato al mio rapporto con Terzani (o meglio con i suoi libri) non come una sorta di fanatismo (non mi vesto solo di bianco, non ho la barba lunga, non sono vegetariano e la lista potrebbe continuare per molto) ma come una fonte dalla quale attingere nei momenti giusti.
Quel momento in cui mi si chiedeva il perché di questa scelta era uno di quelli.
Così spedita la mia bella mail con gli allegati mi seggo sul divano di casa e mi rimetto a leggere “La fine è il mio inizio”, apro il libro dove avevo lasciato il segno, iniziava in quel momento un nuovo capitolo e, dopo essermi appena iscritto ad una scuola di giornalismo prestigiosa che costa (e costerà) alla mia famiglia parecchi sacrifici, cosa leggo alla prima riga? Terzani che dice che le scuole di giornalismo sono tutte inutili, che non è un mestiere che si possa insegnare e che in particolare lui ha sempre detestato l'ossessione che hanno i cronisti inglesi per l'obiettività!
Sono scoppiato in una grandissima risata e mi sono detto: “sull'obiettività ha sicuramente ragione, per il resto proviamo a dargliela una chance a 'sta scuola no?”.
Così arriviamo a ieri, 4 ottobre, a Londra c'era lo sciopero dei mezzi e di arrivare tardi al primo giorno non me ne andava proprio. Parto da Oxford Circus (dove ho passato un paio d'ore con il mio amico Tom in un negozio di chitarre provandole tutte fingendo di doverne comprare una!) alle 4:30 in direzione Maida Vale (dove ha sede la scuola), l'inizio delle lezioni era previsto per le 6:30. arrivo quindi con un certo anticipo e ne approfitto per leggermi un po' del materiale che la scuola fornisce tra libri e quaderni.
A lezione siamo in 10 di cui 3 italiani (io e due ragazzi sardi), un ragazzo e una ragazza inglesi, una russa, una slovacca, una australiana e una canadese. Un bel meltin' pot insomma.
Alle 6:30 in punto entra Andrew Knight, giornalista scozzese trapiantato a Londra da anni con un curriculum lungo da qui a laggiù (e immaginatevi “laggiù” come un posto molto lontano), alto circa 1,80m, magro, con pochi capelli neri attorno alla testa, una barba bianca molto curata e vividissimi occhi blu. Giacca, cravatta e aplomb inglese non ve li descrivo nemmeno, sono ovvi.
Comincia con un introduzione al corso di circa un ora, pausa caffè poi è il nostro turno di parlare.
Ad uno ad uno ci presentiamo dicendo professione, background e quant'altro; viene fuori di tutto! Dal consulente legale che vuole cambiar vita al giornalista professionista che voleva saperne di più sulla sua professione, dal pizzaiolo allo studente semplice che poi al momento sarei io.
È strano definirsi di nuovo “studente”, legalmente non lo sono più dal 29 aprile di quest'anno ma in realtà ho concluso le mie lezioni al giugno di un anno prima quindi stare lì su un banco di quelli con sedia incorporata a prendere appunti mi ha fatto uno strano effetto, o “weird” per usare una parola odiosa che qui sento pronunciare ogni 30 secondi dovunque.
Arrivato il mio turno mentre spiegavo il perchè mi trovassi lì in quel momento, il signor Knight mi ferma e mi chiede se potessi parlare un po' di quel giornalista di cui avevo scritto in maniera entusiasta nella mia lettera di due mesi fa.
“Quel” giornalista era Tiziano Terzani.
Rimango di stucco.
Non solo si era studiato la mia application form e si ricordava di me, ma, per un divertente intreccio del destino mi trovavo lì a parlare di uno che sicuramente in quella scuola non avrebbe messo piede! Bella coincidenza no?
Il resto della lezione non ha molta importanza, è presto per dire se Terzani avesse torto o ragione su queste scuole ma questa prima lezione mi ha tolto tutte le preoccupazioni che avevo alla vigilia e adesso non vedo l'ora di lavorare sodo per ottenere dei buoni risultati da questa esperienza.
A proposito: ho già degli “assignements” meglio conosciuti come “compiti per casa” da fare entro mercoledì quindi se non vi dispiace non rubo più tempo al lavoro e corro a scrivere, anche se prima era più importante scrivere questo post!
A presto gente

Francesco

giovedì 30 settembre 2010

The city that never sleeps


Mai soprannome fu più falso! Londra, pur avendo otto milioni di abitanti circa, dorme, eccome se dorme!
In questa settimana ho avuto modo di esplorare un minimo la nightlife della capitale e, proprio come ricordavo e temevo, non ce ne è traccia. I pub aprono alle 11:30 di mattina per chiudere alle 11 di sera, la metro viaggia fin verso mezzanotte e mezza e i bus, pur essendocene in consistente quantità anche di notte, sono difficili da prendere per raggiungere Wembley Park nella zona 4, dove sono attualmente domiciliato.
Ah giusto quasi dimenticavo, ho trovato casa. Messo alle strette coi tempi per via della scadenza della mia prenotazione all'ostello e dopo aver quasi accettato una proposta per una costosissima casa di arabi a Turnpike Lane, mi sono ricordato della casa che visitai il primo giorno.
Attirato dalla vicinanza del Lidl e per nulla intimorito dal fatto di risiedere vicino al “Nulla” de La storia infinita (il Molise mi fa più paura) decido di stabilirmi in quella stanzetta al numero 17 di Brook Avenue che fortunatamente era ancora libera.
I traslochi si sa sono difficili e pallosi, figurarsi fare un ora di metro con valigie pesantissime! Ma già ora, dopo pochi giorni, me la sento un po' mia; la zona è veramente tranquilla, a due passi ci sono supermercati, barbieri e negozietti e senza dubbio moltissime nazionalità e storie si mescolano in questa parte della città. Io stesso condivido la casa con sei ungheresi (tra ragazzi e ragazze) un polacco (ancora mai incontrato) e una spagnola di Girona che studia al North West College (praticamente deve attraversare la strada ed è dentro all'università).
Altra cosa apprezzabile soprattutto in vista del sei nazioni è la spaventosa vicinanza tra casa mia e il Wembley Stadium dove l'Italia di rugby giocherà contro l'Inghilterra. Inutile dire quanto io aspetti con ansia questa partita!
Ora ho tutta questa settimana da vivere come un turista poiché la scuola non inizierà prima di lunedì prossimo e passeggiando per Trafalgar Square non ho potuto fare a meno di notare come le differenze architettoniche tra l'Italia e il Regno Unito riflettano anche quelle culturali e climatiche. Qui tutto è molto geometrico, serio, efficiente e grigio, persino la magnificazione di criminali di guerra come Sir Henry Havelock, il quale nel 1857 condusse e trovò la morte nella guerra che di fatto imprigionò l'India sotto il giogo della regina, è fatta in maniera anonima, senza colori appunto.
Mi viene immediatamente da pensare alla mia bella Firenze dove, criminali di guerra o no, tutt'attorno alle mura di Santa Maria in Fiore, oltre al coloratissimo marmo verde e rosa stanno incastonati degli scudi con su scritto i nomi non solo delle famiglie nobiliari dell'antica città che volevano essere ricordate dai posteri, ma anche quelli dei messi e dei dipendenti del comune!
Persino Chiaravalle riesce a dare quel senso di tepore passeggiandoci dentro, facendo le vasche per il corso al sabato pomeriggio inebriati dall'odore della “Pizza de Memma” al quale nessuno resiste e, con la scusa di scaldarsi tenendone in mano un pezzo bollente appena sfornato, cede alla tentazione di quella bontà che sa di antico, forse per via del fatto che ne esistono solo quattro tipi: col rosmarino, con la cipolla, rossa e con la mozzarella.
Una cosa che invece è più che apprezzabile di Londra sono le persone; ovunque uno vada finisce per fare le conoscenze più strane e imparare nuove cose di altre culture. Ecco perchè al momento mi trovo a passare le giornate e a farmi qualche birra con un ragazzo corso trapiantato da 4 anni a Firenze, due ragazze e un ragazzo spagnolo dai quali sto imparando la lingua, una tedesca, un messicano e, ciliegina sulla torta, una estone!
Ora nessuno crede veramente che gli estoni esistano ma fidatevi è così, ce ne sono a giro e te li ritrovi anche sulla tua camera d'ostello. Ci riaggiorniamo quando conoscerò un unicorno e un molisano ok?
Hasta siempre amigos!

Francesco

mercoledì 22 settembre 2010

Francesco e Albione

Hello my friends! Come state? Che si dice in quel di Chiaravalle e dintorni?
Scusate il ritardo con cui vi comunico mie notizie ma ho avuto, e sto avendo tutt'ora , non pochi problemi con la connessione ad internet qui nell'ostello.
Ma cominciamo dal principio: salutati amici e parenti all'aeroporto (tra cui segnalo un inedito Cande con le lenti a contatto), mi dirigo bel bello e senza chiudere un occhio in aereo verso il mio primo giaciglio in terra anglosassone, il pavimento dell'aeroporto di Stansted.
Contro ogni pronostico e sbaragliando i bookmaker inglesi il nostro eroe riesce a dormire per circa 3 ore, record assoluto in aeroporti, stazioni, treni aerei o macchine in generale per il sottoscritto. Ragion per cui penso che l'indomani non mi avrebbe colto impreparato sul piano fisico; Dio se mi sbagliavo!
La giornata di domenica è stata terrificante, problemi su problemi (tra cui quello non trascurabile della rete wireless dell'ostello praticamente inutilizzabile, quindi addio ricerca di case su internet) autobus attesi per ore per arrivare ai confini estremi della zona 4 di Londra a visitare due case;
dopo la zona 4 c'è il nulla de “La storia infinita” e, forse, il Molise.
La prima casa si rivela pressoché irraggiungibile, ma dopo aver attraversato foreste con lapidi sparpagliate e due Lidl (lo giuro!) mi trovo davanti a questa casa diroccata senza campanello né persone visibili al momento. Dopo poco per fortuna si affaccia un tizio:
“hello! I'm here for the room to rent” faccio io,
“we rented it yesterday” risponde lui nemmeno troppo cortesemente,
“PORCODDIO!” rispondo io nemmeno troppo cortesemente.
Con le pive nel sacco vado in cerca della seconda casa da visitare la quale, a dispetto del posto sperduto dove è ubicata, mi è molto piaciuta e non costa nemmeno troppo.
Tornando all'ostello quasi ucciso dal mal di testa ho un crollo di nervi e decido che l'unica soluzione è il riposo, in fondo era il primo giorno e la sensazione di benessere mattutina mi aveva decisamente tratto in inganno. Una doccia e dodici ore di sonno dopo stavo una bellezza!
Cioè in realtà un po' di male alla testa c'era ancora ma perchè preoccuparsene? Londra mi si apriva letteralmente come un ostrica e non volevo perdere l'occasione.
Durante la giornata riesco con somma difficoltà a vedere una casa in Caledonian Road.
Il posto è eccellente, la casa, su tre piani con scale da fare con le spalle che mi toccavano su entrambi i muri tanto erano strette, 5 stanze/letto per studenti per lo più cinesi e la cucina e il cesso in comune al secondo piano; no grazie!
L'appuntamento però era alle 18 e prima la mia testa ebbe tempo tutto il giorno di fare ripetute capriole sui propri pensieri: avrò fatto bene a venire a Londra? Non starò chiedendo troppo alla mia famiglia? E se tutta la strada percorsa finora fosse stata sbagliata? Se avessi fatto una cazzata irrimediabile ad abbandonare così, di botto, tutto ciò che avevo creato negli ultimi anni? E se mi fossi cercato un lavoro a casa anche come muratore (seguendo le orme di Metello) non sarei stato meglio? In fondo quel che conta non è essere felici? E che cos'è la felicità se sei lontano dalle cose che ami?
Beh, a tutte queste domande confuse e pericolose non mi sono dato una risposta vera e propria, né mi sono angosciato troppo; semplicemente mentre ero seduto su una panchina della bellissima Russell Square ad ascoltare un po' di musica, la mano scorrendo il cursore del lettore si è fermata su un artista dimenticato da qualche tempo: Rino Gaetano.
Sentendo parlare del rapido Taranto-Ancona in una sua canzone mi sono ricordato di quanto sia bella la mia e nostra terra, una lacrima di gioia ha sciolto tutti i dubbi della giornata suggerendomi che un giorno tornerò alle mie spighe di grano, ma che ora il mio posto è qui nella perfida Albione che adesso, con questa sensazione di forza datami dal Quarto stato che che fa parte di me e della mia storia famigliare, mi fa molta meno paura!





Francesco Mandolini